Luigi Weber
Forse ha del melodrammatico rappresentarseli così, i nostri grandi autori, come i “rifiutati” dalla pittura accademica francese nell’Ottocento, però avrebbe un fondo e forse più di un fondo di verità chi osservasse che, in qualunque storia del grande romanzo novecentesco, l’Italia è un paese pressoché inesistente, se si eccettuano i nomi – comunque molto più noti entro i confini nazionali – di Svevo e Pirandello, e più recentemente di Calvino, Pasolini e Primo Levi. Siamo dunque quasi rassegnati a considerarci un paese di romanzieri di second’ordine, almeno quando si evocano le figure maestose dei giganti del Novecento. In realtà, il XX secolo ha prodotto anche in Italia autori e opere di statura comparabile con i massimi inventori di forme e di linguaggi narrativi a livello globale, tuttavia essi in gran parte non sono entrati neanche nel canone nazionale. Stefano D’Arrigo, Giorgio Manganelli, Vincenzo Consolo, Gesualdo Bufalino, Juan Rodolfo Wilcock, Alberto Arbasino, Gabriele Frasca, Michele Mari: chi erano costoro? C’è tutta una storia (rimossa) da raccontare, di cui continueremo a parlare in corsi successivi.