I Balcani e l’Europa: tra frontiere militarizzate, confini in rielaborazione, democrature e l’eco mai sopito delle guerre degli anni Novanta


Luca Leone

I Balcani vivono intensamente il trauma dei conflitti degli anni Novanta: aggressioni armate nel nome del nazionalismo, dell’accaparramento delle risorse e dei territori. Malgrado l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea (1° maggio 2004) e nell’area Schengen (21 dicembre 2007), e quello successivo della Croazia (1° luglio 2013) nella sola Ue, l’ex Jugoslavia resta un instabile terreno di scontro tra Stati Uniti e Russia, con conseguenze difficili da definire per le popolazioni locali e per gli equilibri di una regione in cui l’ultranazionalismo condiziona ormai ogni sfera della vita politica, sociale e culturale di Croazia e Serbia, candidata a entrare nell’Ue al pari di Montenegro e Macedonia del Nord. In questi territori, alla crisi economica si somma l’evidenza di un’Ue non abbastanza forte, strutturata e attrezzata per contenere i nazionalismi balcanici, che anzi rischiano oggi di contribuire a destabilizzare l’Unione stessa. A ciò si aggiunge l’uso della Bosnia Erzegovina e della Serbia come grandi campi profughi per sigillare la cosiddetta rotta migratoria balcanica: migliaia di persone respinte con filo spinato e manganelli, la cui disperata e forzata permanenza rischia di incrinare equilibri già fragili.